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Buona lettura!
L'incontro del dottor Bona con un paziente, Davide, senza alcun problema psicologico, apre scenari insospettati sulla dimensione dell'anima. La trance ipnotica di questo paziente-non-paziente sfocia in territori oltre confine, ove altissime Guide Spirituali affrontano i grandi temi dell'umanità: l'Amore, la società contemporanea, la morte, la meditazione, il male, la malattia, il tempo.
«Parlare con un Angelo che affiora dalla trance é certamente un’esperienza mozzafiato, una comunicazione che va oltre le parole e che coinvolge ogni registro vibrazionale: la mente, l’anima e il cuore.» Così Angelo Bona, psicoterapeuta e anestesista, descrive le straordinarie esperienze di channeling di una sua nuova paziente “astronave” dell'Uno.
Lungo il cammino di ritorno a noi stessi, le vite assopite nel cuore si destano e raccontano un raggio di luce che conduce a Dio, seguendo l'essenza dell'uno: il profumo dei fiori d'acacia. L'esposizione di casi clinici reali e la loro attenta interpretazione si inseriscono in una sintesi unitaria, dove il nucleo simbolico dell'acacia rappresenta un'importante chiave di lettura.
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Il cipcipblog dell'AIRe: post completo e commenti
Eutanasia sì, eutanasia no
Caro Angelo, ti scrivo stavolta in quanto medico e non solo esperto in ipnosi. Mio suocero sta morendo; è stato gli ultimi 4 mesi in una casa per anziani e ha avuto vari ictus e infarti, sempre piu frequenti. Non è in grado di parlare da tempo, le sue attivita fisiologiche sono ormai compromesse.I figli potevano farlo ricoverare in ospedale, ma hanno deciso di farlo morire in pace nella sua camera. Stanno con lui giorno e notte, amorevolmente.Sta morendo di fame e di sete,non puo deglutire,i dolori sono sopiti dalla morfina.Ma lui lotta per vivere.Mi sembra disumano lasciarlo morire cosi.O forse non sente piu sete e fame?In ospedale forse vivrebbe qualche settimana di piu,ma so che sarebbe orribile per lui trovarsi li.E forse i dolori non cesserebbero,ma si prolungherebbero.Lui non è molto per me,eppure non riesco a dormire la notte pensando alle sue sofferenze.Mi sembra che nessuno possa decidere della morte altrui...E difficilissimo.So che al di la c'è un angelo in attesa...Grazie.
Cara Alessandra, il termine eutanasia non vuol dire uccidere un moribondo. Piuttosto interpreta eu=buona e thanathos= morte; un decesso sereno è un diritto di ogni essere umano e son certo che non mi fraintenderai .Il concetto di omicidio farmacologico è molto lontano dai miei principi. Sono oltre che psicoterapeuta, anche anestesista ed esiste per fortuna una chimica della dolce morte. Tuo suocero può essere sedato accompagnandolo dolcemente oltre il guado. Non è questione di pietas, ma di senso d'amore. Occorrerebbe abolire i retaggi culturali che esaltano la sofferenza della passione e collaborare tutti per garantirci una buona vita anche negli ultimi giorni. Più che parlare di eutanasia credo che coloro che si avvicinano alla soglia abbiano diritto ad una eu-biosia, cioè ad una serena esistenza fino a lasciare questa dimensione spazio temporale. Ho sempre avuto questa premonizione e di solito quando sento così profondamente non mi sbaglio. Dedicherò l'ultima parte della mia vita proprio ai morenti, per garantire loro il diritto di distendere con un sorriso le loro ali. E' per loro, soprattutto che sono diventato medico. Buona Vita Angelo Bona
...Cari amici, cosa ne pensate? Eutanasia si, eutanasia no? Un morente deve essere curato con l'accanimento terapeutico che di norma si verifica? La vita è sacra e un uomo non può intervenire per sopprimerla?
Postato il: 12/09/2006 | Letto 24.915 volte |
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Dr. Angelo Bona
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Tel per appuntamenti in studio: 327 90116 94
Scrivetemi a angelobona1@gmail.com
Buona vita,
Angelo Bona
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tizzi | 19 aprile 2010, 11:42 Sappiamo che in questa vita abbiamo dei "compiti da risolvere", però al momento che questi compiti sono stati svolti perchè dover soffrire in modo lamcinante? No non ne vedo il motivo...l'uno , secondo me , non approva, perciò io sono per una dolce e amorosa morte, ovviamente dove questo è possibile. Altrimenti perchè ci è stata questa possibilità? Bacio e abbraccio a tutti. |
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Paolo - Parma | 14 novembre 2006, 16:12 E' davvero un bel quesito...tante e tante volte me lo sono posto, chi non ha avuto amici o parenti che hanno sofferto in fase terminale? Si sente tanto parlare di etica e di come nessuno possa prendersi l'arbitrio che appartiene ed è ad uso eslusivo del singolo stesso...che fare? personalmente azzardo una risposta solo parziale: alla luce di quanto sopra scritto posso affermare di essere personalmente favorevole quantomeno all'eutanasia quando questa venga richiesta dal diretto interessato che si trova per vari motivi nell'impossibilità di praticarla con le proprie forze ma è sorretto da lucidità mentale. negli altri casi non sò, è molto arduo e pesante far pendere l'ago sia da una parte che dall'altra, certo, perchè anche dall'altra può essere estremamente pesante per l'interessato... talvolta anche più che aiutarlo nel trapasso...davvero non saprei e , ogni caso ha tematiche e problematiche diverse dagli altri e non è bene generalizzare nè restringere il tutto ad un riduttivo "si" o ad un mero "no". Un caro saluto a tutti |
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planet | 4 ottobre 2006, 23:17 Sulla persona anziana che sta morendo nella sua casa vi è già stato un accanimento terapeutico, come su tutto coloro che arrivano alla fine passando da un letto di ospedale all'altro. Se ciò non fosse accaduto, probabilmente - al primo ictus, sarebbe passata ad altra vita velocemente e forse senza estenuanti sofferenze. Detto questo, credo che la nostra cultura della morte non ci faccia apprezzare la vita che dovrebbe essere di 'qualità' e non mercificata: non è la quantità (durata degli anni) ma la qualità ciò che conta. Lascio perdere qualsiasi commento sul capitale e sulla produzione di macchine "salva-vite". Credo che, in generale, ciascuno di noi debba essere libero di poter decidere per sè. Nei cai in cui ciò non potesse accadere - vedi esempio della persona anziana, lo faranno le persone a lui più prossime affettivamente. La terapia del dolore aiuta a non soffrire. Punto. |
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tiziana.peresson | 19 settembre 2006, 10:27 Credo che il problema si ponga perchè siamo tutti figli di una cultura "religiosa", basata più sul potere che sull'amore. Rispetto del Karma? Ma come si può percorrere un sentiero evolutivo se il dolore ci obnubila mente e cuore? Non pensate che la decisione di morire sia una prova a dispetto della legge di autoconservazione cui siamo assoggettati? |
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Salvatore | 15 settembre 2006, 20:40 Buona sera dott.Angelo:non so se sono favorevole o contrario all'eutanasia,posso solo riferirti di persone che soffrono atroci dolori in quanto malati terminali di malattie che attualmente la scienza non riescie a dare risposte positive.Faccio il volontario di una associazione e spesso mi capita di trasportare queste persone :non immagini come mi sento imbarazzato nel non poter fareodire cose che possano alleviare le loro pene.E' facile dire sono contrario ,penso che il malato sia l'unicoche possa decidere in che modo porre fine ai suoi giorni;l'unica cosa che mi sento di dire ,che questi giorni ultimi siano vissuti con dignità
e sopratutto senza sofferenza e pietosismo. |
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Cecilia | 14 settembre 2006, 19:52 Stavo preparando l'esame di giornaismo proprio durante la fine dell'agonia di Terry Schiavo. Ho letto
moltissimo su lei e su Eluana Englaro, caso simile ma nostrano.
L'eutanasia resta tutt'oggi un argomento
estremamente delicato, soprattutto perchè nemmeno la legge sa bene dove sbattere la testa. E perchè anche pensando
al bene di una persona malata, si va sempre incontro all'etica morale, al dover decidere al posto di Dio. Nel caso
di Eluana però non è giusto parlare di eutanasia, ma di accanimento terapeutico. L'eutanasia intesa letteralmente
nel suo concetto di "morte buona", senza quindi quella sofferenza che affligge molti malati terminali, trovo non
sia una cosa deplorevole. Anzi. Ho visto morire mia madre al reparto "terapia del dolore" e se avessi potuto
aiutarla, l'avrei fatto. Deplorevole (secondo me) è quello che viene chiamato "accanimento terapeutico". Il caso
di Eluana è la prova schiacciante della cattiveria di questa pratica. Attuata soprattutto "a scopi scientifici",
ma priva di qualsiasi altro scopo morale.
Eluana era una bellissima e vivacissima ragazza che nel 1992 rimase
vittima di un'incidente stradale. Da allora è tenuta in vita dalle macchine, non dà segni di vita da quasi 15 anni.
Aspetta. E' chiaro che la morte l'ha chiamata a sé 15 anni fa, peccato che i medici non rispettino la volontà (di
Dio) e del padre che è per lei tutore legale, di "lasciarla andare", fondata soprattutto su una frase che la
ragazza stessa disse "quand'era viva" in riferimento ad un caso analogo. Disse: "io non voglio finire così".
Concludo dicendo dal mio piccolo ad Alessandra che la capisco, che le sono vicina. Veder soffrire una
persona, (amata o meno è lo stesso), è semre una cosa terribile. E che non deve e non può sentirsi "cattiva" se
pensa alla fine quieta, priva di sofferenza di una persona amata. La vita continua ed è sicuramente meglio di un
letto d'ospedale. Un abbraccio.
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roberto | 13 settembre 2006, 15:28 vorrei dare una lettura da un'agolatura diversa da quella che da per es. Luigina. Lei come altri,
affermano che che tutte le esperienze fanno crescere la nostra anima e che quindi dobbiamo accettare il dolore e lla
malattia come insegnamento. Ma perchè non si prende in consederazione che una crescita può anche venire dal decidere
di non voler più soffrire, di voler terminare la prorpia esistenza. Non credo che prendere la decisione di morire
possa essere considerata una scorciatoia. L'idea della morte che il cattolicesimo ci ha regalato è legata alla
paura di un giudizio divino, e chi decide di staccare la spina non lo fa quindi certamente a cuor leggero.
Io
vorrei essere libero di poter scegliere sulla mia persona, perchè sono convinto che ogni scelta che farò, buona o
cattiva, sarà sempre utile alla mia evoluzione.
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Matronix | 13 settembre 2006, 13:07 Argomento difficile. Eutanasia e "terapia del dolore" non sono la stessa cosa. Sulla seconda è molto più facile trovare un accordo, ma resta difficile trovare le strutture ospedaliere che la praticano.
Comunque personalmente vorrei che si potesse decidere, quando si è sani, se rifiutare l'accanimento terapeutico, se far "staccare la macchina", se dare priorità alla gestione del dolore.
Ognuno per sé, pensandoci bene e divenendo - forse - tramite questa riflessione più consapevoli, dovremmo poter prendere con serenità questa decisione, comprendendo fino in fondo quello che riteniamo vita - "buona vita" - e quello che riteniamo non-vita e "non buona morte".
La legge italiana non consente questo, per ora. Sulla mia carta d'identità non c'è scritto - ma vorrei che ci fosse - in questo caso "staccate la spina" perché così ridotta non posso più imparare le mie lezioni, o datemi abbastanza antidolorifici e sedativi. Mio padre nella fase terminale del tumore ha sofferto enormemente, e ci siamo resi conto che non era affatto inevitabile. Avrebbe scelto di abbreviare la sofferenza, di essere "drogato", di non gravare sui familiari; lo ha sempre detto, ma alle istituzioni la sua volontà non interessava.
Tutto è insegnamento (ed è anche Amore allo stesso tempo), anche la sofferenza, ma credo che si debba sempre essere rispettati nel proprio libero arbitrio.
Naturalmente è solo la mia opinione - ed esperienza -personale.
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Luigina | 13 settembre 2006, 00:16 Credo che la vita, in ogni sua forma, non appartenga alla manifestazione che la rappresenta ma sia un dono della Sorgente che l'ha generata e che vada quindi sempre profondamente rispettata. Noi come mezzo per sperimentare la vita abbiamo un corpo fisico che è uno strumento perfetto, un universo in miniatura di cui spesso non abbiamo consapevolezza, e che ci permette di acquisire esperienze per far evolvere la nostra anima. A volte queste esperienze possono sembrarci molto difficili, dolorose ed ingiuste, ma sono sempre messe sul nostro cammino per farci crescere, per farci comprendere la Saggezza e l'Amore ma sono del tutto inutili se non le accettiamo e ci rivoltiamo contro, se si lasciamo sopraffarre dalla paura, bloccare dal rifiuto. La malattia inappellabile e la relativa sofferenza fisica sono tra le prove più difficili da superare e solo affrontandole con fiducia, certi che nulla di ciò che ci viene proposto è oltre la nostra capacità di accettazione e tolleranza, chiedendo sinceramente tutto l'aiuto di cui abbiamo bisogno, che possiamo passare oltre. Dobbiamo anche comprendere che la separazione dai nosri cari non esiste e che l'Amore è un legame potente, indistruttibile, senza limiti sensoriali e che può essere proiettato ad unire per sempre anime che sono legate da tale sentimento.
Purtroppo, dalla mia piccola esperienza professionale e personale, mi sembra che siano proprio i medici, una volta posta la diagnosi infausta ed esaurite tutte le possibilità terapeutiche a rifiutare la malattia e la morte vedendo forse nell'exitus la loro sconfitta professionale, negando spesso anche le cure palliative, e preferendo abbandonare il malato alla disperazione della propria sofferenza. Oggi la medicina ha tutte le risorse per alleviare il dolore fisico e molto si potrebbe fare anche per sollevare il trauma emotivo del distacco ed in questo condivido pienamente il concetto di eu-biosia considerandolo un dovere per coloro che hanno scelto la professione medica.
In passato non ho saputo accettare la malattia che mi sembrava si accanisse con crudeltà e reiterazione contro un mio caro e non l'ho potuto aiutare ad affrontare con fiducia il distacco, ora sogno di poter, un giorno, realizzare una Casa della Serena Ri-nascita dove si possa imparare a volare alti, sulle ali di Pegaso, oltre la sofferenza della malattia e della morte in una nuova dimensione di Luce e d'Amore. |
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Pirpolo | 12 settembre 2006, 23:09 Il tema è controverso ed è difficile dare una risposta. Se la sofferenza è un debito da scontare per la propria crescita spirituale, questo debito andrebbe rispettato fino al suo epilogo naturale.Se io decido arbitrariamente di saldarlo, quale karma mi porterò dietro nel prossimo stadio? Fin dove può arrivare il libero arbitrio dell'uomo?C'è differenza tra scelta univoca e biunivoca dell'eutanasia?
Nonostante tutto, vedo anche io l'eutanasia come atto d'amore: quando da parte del malato c'è la volontà di porre fine alla sofferenza dei congiunti in vece di quella personale, e quando da parte dei congiunti c'è desiderio di alleviare la sofferenza del malato, non la propria. |
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AURORA | 12 settembre 2006, 22:54 Condivido il commento di Virgilio. C'è differenza tra un'ammalato che chiede di mettere fine alle sue sofferenze perché ancora in grado di esprimere un suo desiderio e un'ammalato in coma. Quest'ultimo soffre per rimanere o per andarsene? E se questa sua sofferenza è utile al suo spirito? Come sono utili le sofferenze patite durante la nostra vita terrena!! E' una questione che mi angoscia profondamente. Accetto la morte (forse perché è ineluttabile) ma mi è difficile accettare la sofferenza che, per me, è piena di misteri. Penso che bisogna continuare a parlarne, a scriverne. Grazie Angelo per averlo fatto |
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Patrizia | 12 settembre 2006, 15:09 Cara Fata,mia dolcissima cagnona,sei stata proprio tu a suggerire la risposta a questa domanda che mi frullava in testa da sempre.E'successo quindici giorni fa quando,accoccolata vicino a me e ormai stremata dalla debolezza e dalla malattia,hai "annusato"la mia tristezza e mi hai leccato le mani confermandomi ancora una volta il tuo amore.Non riuscivi piu'a reggerti sulle zampette,ma il tuo infallibile fiuto era ancora in grado di riconoscere,oltre ai tuoi bocconcini preferiti,anche le mie emozioni ed i miei piu'nascosti pensieri.E'stato in quel momento che ti ho silenziosamente posto la temuta domanda:mi hai risposto girandoti di scatto e guardandomi intensamente con i tuoi profondi occhi scuri;si',mi chiedevi di liberarti finalmente dalle catene di quel povero corpo diventato ormai solo una inutile prigione poco dignitosa.Eri serena mentre il veterinario ti somministrava l'anestesia prima dell'iniezione letale.In quei brevi istanti i nostri sguardi incollati hanno messo le ali per volare insieme ancora una volta sui prati fioriti che amavi tanto,sui nostri giochi festosi,dandoci appuntamento lassu',tra le nuvole,dove un giorno ci incontreremo.Grazie,Fata,per avermi ricordato che la vita va vissuta con la leggerezza del vento e la dignita'che nasce dalla consapevolezza della sua eternita'. |
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oriana | 12 settembre 2006, 13:35 Sono anni che credo nell'enutanasia intesa come rispetto verso la sofferenza di chi chiede Pace.
Mai come in questi casi la Morte è salvezza, risurrezione.
Regolamentarla è sicuramente difficile, perchè difficile è sancire con una legge il momento del "diritto".
Questo non ci deve impedire di ritenerla saggia, l'ultimo atto d'amore verso la sua esistenza terrena.
Dovesse capitare a me di chiedere di porre fine a sofferenze fisiche inutile e che non porei accoglierecon la necessaria serenità.
In sintesi sarebbe un atto d'Amore verso di me.
Oriana |
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carmen | 12 settembre 2006, 13:33 nel tempo le mie riflessioni sono suscettibili di cambiamento. Prima pensavo ke di fronte a un morente che soffre fosse umano aiutarlo ad abbreviare la sua vita di dolore....ora nn lo so.. chissà, forse dipende da caso e caso. Vorrei poter avere il dono di saper discernere, di comprendere le diverse situazioni e individualità. Nel mio caso vorrei potermi affidare e lasciar fare a Madre Natura -me lo auguro- la paura mi ha fatto perdere diverse opportunità...e quest'altro viaggio ke forse è il più difficile(?) mi servirà a togliere alcuni dei molti veli ke ora coprono la giusta visione.Aria.
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Virgilio | 12 settembre 2006, 12:06 Prima di dare una risposta, ammesso che sia possibile, credo che bisognerebbe riflettere su cosa si intende per buona vita.
E' una buona vita la possibilità di un essere umano di muoversi coscientemente e interagire con l'ambiente e gli altri esseri umani? Se la risposta è sicuramente sì allora la situazione di sofferenza descritta è una non vita o cattiva vita.
Riflettere però sul fatto che un essere umano è composto dallo Spirito e dal Corpo porta a ulteriori valutazioni: se il corpo soffre o addirittura non è più in grado di interagire con l'ambiente significa che anche lo Spirito si trova nelle medesime condizioni?
Oppure il Corpo malato diventa una catena che imprigiona lo Spirito in attesa della libertà.
E il concetto di Karma? Accorciare le sofferenze, che potrebbero essere un modo per espiare colpe passate potrebbe essere un cattivo servizio dato a un congiunto.
E questa azione appesantisce o alleggerisce il fardello Karmico di chi la compie?
Su queste basi non saprei davvero come rispondere, inoltre vanno considerate le emozioni di chi vive queste situazioni di sofferenza psicologica nei confronti di un caro familiare malato e che non ha la lucida mente per compiere scelte ponderate. |
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Roberta | 12 settembre 2006, 10:15 Un uomo o una donna deve poter decidere se continuare le cure o lasciar andare....e scivolare via, passare la soglia, senza dolore. Penso sia un diritto insopprimibile di ogni essere umano. Pero' deve essere deciso conscientemente dal malato, piu' difficile e' quando il malato e' in coma (per esempio) o non e' in grado di comunicare. Ma questo e' un altro discorso. un abbraccio a tutti
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