L’estate emanava il profumo dei tigli e in quella nitida mattina la luce del sole diveniva abbagliante. I clacson della strada frantumavano la quiete e le vetture in transito con i loro gas di scarico disgustavano la fragranza dei fiori delle aiuole.
Avevo otto anni quando, accompagnato dalla zia Clelia, mi recai al vecchio dispensario di Porretta Terme, un tempo utilizzato per consulti diagnostici radiografici e distribuzione farmaceutica.
Inaspettato come un fulmine a ciel sereno un dolore lancinante mi colse dietro l’orbita oculare. Il chiodo infisso trasversalmente verso l’emisfero sinistro veniva percosso ritmicamente da un sadico fabbro munito di mazza di ferro.
Mi fermai portandomi le mani al viso come se bastasse schermare la luce del sole per lenire l’implacabile azione del punteruolo di tortura.
Nulla da fare, il martello continuava a colpire. Avevo la sensazione che il bulbo oculare sinistro sarebbe esploso sotto i colpi d’assedio di quell’ariete. La zia mi rincuorò dicendomi che sarebbe certamente passato.
Nulla di più falso anche se momentaneamente rassicurante. Ogni mattina dalle 10 alle 13 precise quel supplizio si perpetrava e mi echeggiava nella mente un ghigno cattivo di un ingiusto e crudele torturatore.
Ogni anno da metà giugno e per un intero mese quella “cefalea a grappolo” mi tornò a trovare.
L’anno peggiore fu quello in cui patì una mononucleosi infettiva con febbre altissima oltre i quaranta gradi.
Parallelamente alla febbre il dolore ritornò insopportabile, sempre a sinistra al punto di farmi quasi perdere i sensi.
Racconto questi miei momenti perché dopo la mia laurea in medicina, dopo lo studio attento della neurologia, dopo la mia pratica di ricerca in neuroradiologia all’Istituto Don Gnocchi di Milano, posso affermare che questi eventi non furono casuali.
Qualcuno, forse un angelo con un nobile fine nonostante la spietatezza di quella tortura ha “operato” il mio encefalo sinistro inibendo o attenuando alcune funzioni cognitive e di orientamento spaziale.
Credo che sia stata lesa l’area della corteccia entorinale sinistra che presiede al senso dell’orientamento nell’ambiente. Dopo la emicrania/febbre anche le mie doti matematiche peggiorarono drasticamente.
Si esaltarono invece la fantasia, l’immaginazione, il senso poetico, l’empatia dell’anima e certamente mi sentii più connesso con l’assoluto.
Le facoltà dell’emisfero destro amplificarono le loro potenzialità ed iniziai ad evocare spontaneamente in me vite che percepivo di avere vissuto in tempi remoti. Poi compresi che quelle vite non erano il mio passato, ma ancora il mio presente.
Comparve un druido che avanzava sulla scogliera sorreggendosi al vincastro, il suo bastone con l’estremità superiore ricurva e seppi di avere vissuto una vita tra antiche popolazioni celtiche.
Da quella emicrania/febbre nacque certamente l’attitudine alla compassione del dolore e la pratica medica e spirituale che oggi definisco come ipnosi evocativa.
Oggi so che quelle vite sono la mia vita, che il druido, il templare, il bambino che sogna la luna sono le mie esistenze mai defunte, le mie identità viventi, i miei “other selves” eterni.
L’anima non può essere precedente a se stessa, come le vite che non sono precedenti, ma sincroniche e raffigurate come tragitti karmici utili per raggiungere la consapevolezza di noi stessi.
Grazie emicrania/febbre che mi hai torturato da bambino, dal tuo “male” è fiorito in me il bene della mia missione di medico degli altri e di me stesso.
Buona vita Angelo Bona